Lunedì, 9 dicembre 2019 @19:17
"I cieli grigi e le luci di dicembre sono la mia idea di gioia segreta."
(Adam Gopnik)
Ci sono frasi, o versi di poesia, così profondamente legati alle stagioni, che mi tornano sempre in mente; tornano come tornano le foglie per terra d’autunno, o i papaveri d’estate. E a dicembre eccola di nuovo, questa piccola frase di luce, questa dichiarazione d’amore per la stagione fredda, di Adam Gopnik (scrittore nato, non a caso, in Canada e vissuto a New York: lui l’inverno lo conosce bene. E la frase è tratta da "L’invenzione dell’inverno", Guanda).
Le luci di dicembre… Non ho mai amato il Natale, se non da piccola (il presepe col muschio vero a casa dei nonni a Trieste, i regali con la carta bianca e rossa di Orvisi, mitico negozio di giocattoli). Poi sono successe tante cose, e molte tristi. Così ho cominciato a desiderare solo una cosa, a Natale: scappare. Per evitare alberi addobbati, famiglie e ricordi. E sono scappata, per anni: palme, piedi nudi sulla sabbia, i templi dell’Asia che amo tanto. È stato bellissimo. Poi, qualcosa è cambiato. Intendiamoci: continuo a pensare che un viaggio lontano sia il modo più bello (almeno per me) di celebrare il 25 dicembre e l’anno nuovo che arriva. Ma ultimamente ho cominciato ad amare davvero la "gioia segreta" delle luci di dicembre. Non solo. Compro una corona di pino da tenere sul tavolo, a casa (le trovo al mercato, e quest’anno ho scelto la più semplice, che mi sembra odori ancora di bosco). Appendo cuori rossi di legno e stelle di vetro. Apro, giorno dopo giorno, il calendario dell’avvento (l’anno scorso la mia cara amica V. me ne ha regalato uno con, dietro ogni finestrella, una bustina di tè speziato; quest’anno me ne è arrivato uno vintage dalla Germania, dal mio amico tedesco, O.). Accendo candele la sera, anche solo per me. Perché ho capito che le luci delle città, o le luci dentro le case, sono per noi: sono un modo – anche solo laico e pagano, magari – di farsi coraggio quando arriva il buio più buio.
A Lubiana, nel mio altrove, sono andata in centro, sul fiume, proprio il giorno in cui accendevano le luci. Che spettacolo! Alle cinque e mezza sembrava che tutta la città fosse per strada, musica e cori di bambini, tutti con i cellulari puntati verso il grande albero di Natale (massì, anche i telefonini illuminano!). E poi… clic! Si sono accese le luci, non solo quelle dell’albero, ma quelle che ridisegnano i palazzi, il fiume, la città. Vabbè, lo dico: mi sono commossa. Ora so che non voglio fuggire da niente: amo il buio, ma anche le piccole luci che ci scaldano e segnano la strada. Amo il viaggio, ma anche stare a casa. Amo il fuori e il dentro. Perché siamo questo, inutile combattere: buio e luci. (Poi, certo, se volete farmi felice, mettetemi sotto l’albero un biglietto aereo per molto lontano).
Carla | Mercoledì, 11 dicembre 2019 @12:38
Io adoro le scarpe stringate. Per intendere mi piacciono tantissimo le scarpe che hanno spesso le ragazze giapponesi: chiusa con la suola un po'alta, che ricordano le loro ciabbatine. Le mie sono di un marchio italiano, noto...sono dei fratelli qui del milanese..., perciò hanno un giusto equilibrio e quel dorato davvero un guizzo a tutti i miei look!
LISA | Mercoledì, 11 dicembre 2019 @09:06
Carla, esatto, scarpe d'oro: the new black. Perché vanno con tutto, di giorno e di sera. Io ce le ho, un paio di tronchetti - ups, brutta parola - oro damascato, ma adesso punto a un paio di tronchetti davvero d'oro. Le tue scarpe come sono? Tacco alto, sandali, stivaletti? (Ah, la meraviglia di parlare di essenziale frivolezza...)
LISA | Mercoledì, 11 dicembre 2019 @09:03
Ulia, bello quel "scintillate"!
Ulia | Mercoledì, 11 dicembre 2019 @08:39
Le luci a Natale ridisegnano la propria idea di felicità come la neve la misura del silenzio...scintillate quindi...un abbraccio Ulia
Carla | Martedì, 10 dicembre 2019 @18:42
Le luci natalizie mi piacciono perchè sono intermittenti, come dici tu, Lisa, non nascondono sono luce-e-buio. I contorni nel buio sono appena rischiarati, e non chiari, e non si vedono le piccole magagne che hanno le città. E forse non di vedono neanche le nostre. Io, intanto, per questo inverno ho seguito il tuo consiglio, di qualche tempo fa, di illuminare i piedi: ho comprato un fantastico paio di scarpe color bronzo/oro...
Giovedì, 28 novembre 2019 @19:29
Rifece il suo numero, chiuse gli occhi e provò a far finta che fosse semplicemente partita per uno dei suoi viaggi di lavoro.
"Ciao mamma", disse piano. "Mi manchi. Vero che torni presto?".
Quando ho letto questa frase mi si è stretto il cuore. Perché la ragazzina che la pronuncia ha appena perso la madre, uccisa nella neve (siamo in un giallo, "Ritorno all’isola", di Viveca Sten, Marsilio). Ma siamo anche dentro un telefonino, e il mio – forse anche il vostro – ha dentro dei numeri che non posso più chiamare. E che non ho ancora cancellato.
Poter chiamare chi non c’è più, è questo il pensiero struggente. Sapere che qualcuno risponde, dall’altra parte del buio. Perché non lo cancelliamo, quel numero? Perché teniamo ancora tutto, i messaggi, le foto? Conversazioni interrotte. Che poi, forse, non sono nterrotte davvero. Continuano, nella nostra testa, nel nostro cuore, ad ogni piccola cosa che vorremmo condividere, ad ogni grido di aiuto, dispiacere, risata, bagliore.
Così io dedico questi pensieri a mia zia Ileana: se mi piacciono i thriller, è perché ho cominciato a leggerli da lei, con lei, nella casa di Trieste dei nonni, con il Giallo Mondadori che comprava ogni settimana (quanto mi piaceva andare a prenderlo in edicola, quando ancora le edicole erano scrigni di sorprese…). Forse le piacerebbero i gialli che ho appena letto: Viveca Sten, appunto. Ma anche l’ultimo di Connelly, dove Renée la detective surfista incontra il mitico Bosch ("La notte più lunga", Piemme). E il secondo libro delle inchieste di Perveen Mistry: "La pietra lunare di Satapur", di Sujata Massey, Neri Pozza. La prima donna avvocato (e detective per caso) nell’India degli anni Venti.
Sono questi gli ultimi gialli che mi sono piaciuti. Non glieli posso più prestare, né regalare; non la posso più chiamare. Però li leggo e li racconto a voi.
Lilabella nuova | Venerdì, 6 dicembre 2019 @13:27
Diciamo che io ho ancora forte il ricordo di mia nonna paterna che, ovviamente, per era generazionale, non aveva lo smartphone. I nostri ricordi erano di mani intrecciate quando l'accompagnavo il pomeriggio alla passeggiata nel quartiere. Apprezzava il mio gesto ed era felice soltanto perché magari assaporava con i sensi il respiro dell'aria ed i raggi di sole. Per me è ancora qui, nonostante sia morta da 24 anni. Rimane impresso come un numero il nome di chi abbiamo amato e che adesso non c'è più.
Grazie Lisa, un sorriso per te. Lila
LISA | Sabato, 30 novembre 2019 @19:19
Grazie, Claudia mdg, della bella poesia, che non conoscevo. E del ricordo che hai voluto condividere con noi.
claudia mdg | Sabato, 30 novembre 2019 @11:44
La prima volta che ho chiamato casa dopo la morte di mio padre mi ha risposto lui: era la sua voce registrata sulla segreteria telefonica.
claudia mdg | Venerdì, 29 novembre 2019 @17:56
Da "Fedeltà" di Grace Paley:
Avevo bisogno di parlare con mia sorella
parlarle al telefono intendo
come facevo ogni mattina
e anche la sera quando i
nipotini dicevano qualcosa che
ci stringeva il cuore
Ho chiamato il suo telefono ha squillato quattro volte
potete immaginarmi trattenere il respiro poi
c'è stato un terribile rumore telefonico
una voce ha detto questo numero non è
più attivo che meraviglia ho
pensato posso
ancora chiamare non hanno assegnato
il suo numero a un'altra persona malgrado
due anni di assenza per morte.
Acerbina | Venerdì, 29 novembre 2019 @08:08
Sí avevo letto anche io la storia di quella ragazza.
Jimmy | Giovedì, 28 novembre 2019 @21:34
Ciao Lisa mi piace Tanto il tuo blog intéressant ma oggi mi hai fatto pensare a una persona che avevo nello smartphone i contatti buona serata
LISA | Giovedì, 28 novembre 2019 @20:18
Che immagine dolce "heart disk"! Pensa, qualche settimana fa ho letto una strana notizia (vera? falsa?, non importa) di una ragazza americana che aveva continuato per anni a scrivere sms al padre morto. Per consolazione. Finché a un certo punto le ha scritto il signore che aveva rilevato il numero, e le ha detto che non aveva mai avuto il coraggio di dirle che leggeva i suoi messaggi, sempre; che anche lui era un padre, e che voleva dirle che era una ragazza meravigliosa, e augurarle buona vita. Più o meno.
Acerbina | Giovedì, 28 novembre 2019 @19:51
Che cose vere hai scritto. E penso anche ai miei numeri impossibili. A quei due o tre o quattro numeri che non riesco a cancellare dallo smartphone anche se no esistono più le voci, lá dietro. Ma il non volerli cancellare significa che il legame con loro, resta e conta. Perche i telefoni custodiscono l'hard disk, ma anche l'heart disk, delle nostre vite..
Mercoledì, 20 novembre 2019 @08:27
-È una ragazza simpatica e interessante.
-Interessante? Ma se non ha aperto bocca.
Cito Goethe. Anzi, cito Thomas Mann che cita Wieland, personaggio a me sconosciuto ma sicuramente noto all’epoca, il quale, commentando "Le affinità elettive", scrisse: "Per questa battuta avrei regalato a Goethe, se fossi stato il duca di Weimar, un intero feudo".
Ammettiamo: è una delle (poche) cose divertenti del libro; un classico che, stranamente, non avevo mai letto. Faceva parte dei miei libri dell’estate; ma, anche se l’estate è stata lunga, è finita che l’ho letto nelle piogge novembrine.
Conoscevo però la trama, all’incirca: affinità elettive perché, come spiega Goethe mettendo la teoria in bocca ai suoi personaggi (eccentrico, per l’epoca! Era il 1809), ci sono delle sostanze che, messe a contatto, producono reazioni di unione o disunione. Così succede alla coppia del romanzo: A ha sposato B, ma quando entra in gioco il vecchio amico C, e la ragazza D, le coppie si disfano, e forse si riallineano. Questo mi avrebbe dovuto far pensare alla chimica ineluttabile dell’amore, al destino che è peggio di una formula matematica, forse all’algoritmo che oggi ha sostituito la chimica (Tinder non è il nuovo implacabile destino?). E invece no.
Invece la cosa che più mi ha colpito è, alla fine del romanzo, l’addolorato Edoardo che estrae, "da una cassettina, da un portafoglio", i talismani di un amore: "una ciocca, fiori raccolti nel tempo felice, tutti i biglietti ch’ella gli aveva scritto". Ho pensato che un amore oggi non è fatto di biglietti segreti, non è più di carta, nastri o petali, ma di una scia luminosa di whatsapp e foto; è tutto nel telefonino, e scompare così. Forse è meglio. Una scia nel nulla, quando finisce un amore, come una cometa.
(A proposito: io ho letto "Le affinità elettive" nella bella edizione Einaudi, traduzione di Massimo Mila, prefazione di Thomas Mann. Un piccolo gioiello pocket per 11 euro; ogni tanto mi stupisco di quanto poco costa, per fortuna, la buona letteratura)
LISA | Martedì, 26 novembre 2019 @14:49
Grazie. Che bello saper passare nel buio.
Lilabella nuova | Martedì, 26 novembre 2019 @13:10
Mi permetto di fare un copia e incolla per farti capire quanto il tuo esserci sia stato importante per me (anche se non siamo amiche). Diciamo che in un modo diverso ho attraversato il ponte. Un ponte che mi ha permesso di rivalutare la mia persona e di vedere che là fuori ci sono tante persone che mi vogliono bene.
Ecco il copia e incolla:
Claudia, la mamma del gladiatore | Mercoledì, 9 dicembre 2009 @20:34
Oggi sono stata da Lila, e le ho portato i ritagli degli ultimi buongiorno: il primo era quello di oggi. Antonella mi ha scritto su un foglietto un ringraziamento per te, ora lo trascrivo.
Per Lisa.
Grazie per la poesia di oggi ma soprattutto per il tuo commento. Mette in luce la tua semplicità e la tua profondità di spirito. Ti mando un abbraccio anche io e ti giuro che appena posso riscriverò nel tuo blog, fuori dal buio. Lila
…
Fuori dal buio e sono passati dieci anni e se ho lottato è stato anche per merito tuo, non si può sfuggire al dolore ma si può elaborarlo e vivere con una nuova consapevolezza. Un sorriso da Lila
Lilabella nuova | Lunedì, 25 novembre 2019 @11:46
Buongiorno. Magari fuori contesto...ma ancora ricordo quando ritagliavo con cura i tuoi Buongiorno che parlavano d'Amore. Credo sia molto meglio scrivere ma soprattutto dimostrare (non solo a parole quando si ama qualcuno). Un sorriso da Lila.
LISA | Mercoledì, 20 novembre 2019 @18:30
Una cara amica accademica, I., che ha letto il post stamattina, mi ha poi commentato in privato che Goethe però andava contestualizzato, che l'ho letto troppo leggermente. Mi ha fatto notare che è un libro costruito come un meccanismo perfetto, quasi a orologeria. E che Walter Benjamin, che sulle Affinità elettive ha scritto un saggio, ad esempio fa notare quanto le pagine iniziali sul giardino di Lotte siano la "mise en abîme" del romanzo stesso e come tutti i personaggi - anche quelli minori - entrino nel testo a coppie, come se fossero pedine in un gioco da cui non possono prescindere. Una nuova tappa del pensiero di Goethe, tappa che segna di fatto il distacco dal Werther e da tutta la cultura romantica che gli sta dietro. Ecco, ho ricopiato quasi parola per parola: mi piace che un classico provochi emozioni. Ma, come le ho detto, io ho una lettura sempre primaria, emozionale, poco contestualizzata: in fondo il potere di un classico è anche questo, come certi "fondi oro" del Trecento o Anish Kapoor, ci colpiscono, commuovono, fanno pensare anche fuori dal contesto. Tu ad esempio, Claudia mdg, sei rimasta colpita anche dagli oggetti talismano, di cui, come racconti, è disseminato il libro. Contenitori, scatole, forse di emozioni. (Però diciamo la verità: Ottilia è un po' noiosa, o no?)
claudia mdg | Mercoledì, 20 novembre 2019 @18:14
Cara Lisa, anch’io ho letto Le affinità elettive solo ultimamente, non più di 3 anni fa. Del libro mi ha colpito la doppia anima, quella illuminista che apre il libro e quella romantica che lo chiude. La concezione illuminista, anche se più antica, è la più vicina a noi, ed è ben rappresentata dalla situazione iniziale, modernissima: una coppia non più giovane, al secondo matrimonio, completamente libera da vincoli sociali e innamoratissima, che decide di ristrutturare casa. Il tentativo di mantenere il controllo sullo spazio esterno, e più ancora, su quello interno delle emozioni, è destinato a fallire, e le vite dei personaggi saranno travolte da un vortice patetico-sentimentale nel più puro stile ottocentesco.
Del libro mi restano alcuni simboli molto potenti, come l’immagine ricorrente del contenitore/scatola (casa,cofanetto, astuccio, portafogli, bara), come tentativo di ordinare, rinchiudere, nascondere o proteggere le emozioni; gli oggetti-talismano che hai citato, di cui è disseminato il libro, e che contrastano, con il loro richiamo magico, i rimandi al mondo scientifico che pure percorrono tutto il romanzo.
Non mancano nemmeno i guizzi ironici, spesso affidati a personaggi secondari, come il conte, che propone il matrimonio a scadenza quinquennale, rinnovabile solo se tutti e due i coniugi sono d’accordo. Un’idea bellissima! Sulla scia del libro, che ho apprezzato molto, ho riscoperto un vecchio sceneggiato Rai con una giovanissima Francesca Archibugi nel ruolo di Ottilia, è su youtube, da vedere.
Martedì, 12 novembre 2019 @08:39
"L’anno ha sedici mesi: novembre
dicembre, gennaio, febbraio, marzo, aprile
maggio, giugno, luglio, agosto, settembre
ottobre, novembre, novembre, novembre, novembre."
(Henrik Nordbrandt)
Lo so, se mi seguite da tempo li avete riconosciuti. Henrik Nordbrandt è un poeta danese. E chi tra voi mi legge dai tempi del Buongiorno su City forse si ricorda questi versi: erano il Buongiorno del 3 novembre 2008. Sono tratti da "Il nostro amore è come Bisanzio", Donzelli Editore. Quanto a "svegliatemi quando finisce novembre", è un’autocitazione, una frase che mi piace così tanto che l’avevo infilata nel mio terzo libro, "Ultimamente mi sveglio felice". Mi perdonate la ripetizione? Del resto anche novembre si ripete e sembra non finire mai, giornate di pioggia e buio… E ci sono poesie che ci risuonano dentro; tornano, ogni stagione, come d’autunno le foglie per terra e le castagne nei viali.
Mao | Sabato, 16 novembre 2019 @21:22
Dicembre ???
Martedì, 5 novembre 2019 @19:59
"La notte quando non dormiamo diciamo che amarsi è comunicare in questo codice privato che neanche a occhi chiusi si abbandona, e come puoi perdere una persona, se non dimentichi la sua sintassi neanche nei tuoi sogni più stanchi".
(Claudia Durastanti)
Le notti di novembre, che sembrano fatte apposta per dormire con te.
In realtà era uno dei miei libri dell’estate, questo "La straniera" (La nave di Teseo). L’ho voluto leggere non solo perché è stato finalista al Premio Strega, ma perché è la storia di una ragazza figlia di genitori sordi, e assomiglia molto alla storia di una mia amica dei tempi del liceo, F., alla quale infatti ho consigliato il libro. (La scrittrice ha 35 anni, bravissima, anche a raccontare una storia così intima, una storia d'amore: quella dei suoi genitori, e la sua). L'ho letto quest'estate, eppure la frase mi è venuta in mente adesso, in queste notti di pioggia e primi freddi. Questo amarsi che è un "codice privato, che neanche a occhi chiusi si abbandona". Bellissimo. E vero.
Lilabella nuova | Mercoledì, 6 novembre 2019 @17:37
Bellissimo, confermo. Però è un codice che non ha regole e leggi e personalmente credo che forse sia proprio nel chiudere gli occhi e lasciarsi andare l'unico modo per vivere davvero un amore, qualunque esso sia ed in qualunque stagione.
LISA | Mercoledì, 6 novembre 2019 @08:43
Una firma in codice! Stai rileggendo il Buongiorno di Marcela Serrano, esattamente dieci anni fa: http://www.lisacorva.com/it/view/87/
Mi piace molto che tu sfogli il blog come un libro. Un po' come rileggere un classico: le pagine e le sottolineature sono diverse, perché il libro ci "parla" in modo diverso a seconda dei momenti in cui lo leggiamo. Così, forse, è per la poesia, e per i frammenti che raccolgo e vi riscrivo qui. Torna presto!
Angie Serrano | Martedì, 5 novembre 2019 @22:02
Bellissima frase Lisa, concordo e credo in questo codice privato. Ieri sera leggevo le frasi di novembre 2009, praticamente mi piace tornare indietro nel tuo archivio, e vedere cosa si diceva a novembre di tanti anni fa... perché mi piace, alla fine le cose che prima ci stupivano ormai ci hanno superato... e nel tuo blog posso fare questa regressione, e riflettere.
Grazie per tanto ????

Mi chiamo Lisa Corva, e questo lo sapete. Sapete anche, se siete qui, che credo nel potere delle parole. E della poesia.
Qui troverete i miei Buongiorno: da trasformare in sms, ricopiare sull’agenda, far viaggiare via web… Talismano, oroscopo, cioccolatino, schegge di luce o di consolazione: usateli come volete. Troverete anche le mie interviste, i miei articoli di moda, i miei colpi di fulmine in giro per il mondo. E, ovviamente, i miei libri.
Mi potete anche trovare (a volte) in Piazza Unità a Trieste: la città dove sono nata, dove non ho mai vissuto, ma che continuo testardamente a considerare mia. Se vi avvicinate abbastanza, mi riconoscerete. Se non altro, dal profumo di rose.