Non tutto è rammendabile, ma tutto (o quasi) è riciclabile.
Questo vorrei dire alle protagoniste di due romanzi che hanno riscaldato le mie vacanze di Natale, e che passavano le serate a rammendare calze e attaccare bottoni perduti. Certo, succede perché siamo negli anni Trenta e Quaranta in Inghilterra, e Dorothy Whipple, oltre a scrivere, probabilmente sapeva (doveva) ben tenere in mano ago e filo. Qualità domestiche irrinunciabili, a quel tempo almeno – oggi vorrei proprio conoscere chi sa rammendare una calza – ma, nelle pagine della Whipple, anche stranamente zen. Le sorelle quarantenni, una bellissima, inquieta e piena di amanti, l’altra in un matrimonio tranquillo, si ritrovano dopo anni la sera in salotto, e la sorella bellissima pensa: c’è un che di consolante e pacificante in tutto questo. In queste ore insieme, in silenzio, con la scatola del cucito. (Oggi probabilmente le due sorelle sarebbero ognuna in camera propria a giocare con il telefonino o guardare Mrs Maisel). In ogni caso non lo pensa per molto, perché poi ritorna alla sua inquietudine e ai suoi amanti. Ma tant’è.
A loro vorrei dire, facendo un salto nei libri e nel tempo: non tutto è rammendabile. Ma tutto, o quasi, è riciclabile. Abiti distrutti dai lavaggi e dalle centrifughe, maglioni preziosi che si riempiono di buchi, federe strappate, calze da buttare. Qualcosa si può salvare, certo. Basta trovare una brava rammendatrice, o una sarta “aggiustatrice”. Io una l’ho trovata, sono rare ormai: le ho dato delle vecchie lenzuola bianche, bellissime e con le cifre, ma ormai strappate, da cui ha ricavato delle tende.
E quello che non possiamo salvare? Si ricicla, e che soddisfazione. Già: non solo il vetro, la carta, il bio. Da anni porto sacchetti di abiti, asciugamani, tessuti non più utilizzabili da H&M (no, non è pubblicità, ma fiducia: riusciranno a rilavorare quasi tutto e farne maglie sostenibili e “conscious”, io li sostengo e ci credo).
E ieri, mentre ho scoperto vari strappi per usura in un paio di leggings che quindi finiranno nella raccolta differenziata, ho pensato: ma se questo valesse anche per amicizie e amori? Possiamo rammendare, certo. Dobbiamo rammendare. Ma a volte ci sono amori e amicizie che si disfano, semplicemente. Troppi buchi, troppi strappi; relazioni molto amate, o forse molto consumate, che si sfilacciano, che mostrano la trama, la noia o il risentimento; persone che non ci “stanno” più, come certi abiti che non ci appartengono più. E allora, non ci rimane che buttare. Buttare bene. Regalare, anche: quello che non è più nostro può essere amato da qualcun altro (vale per un cappotto ma anche per un uomo). E riciclare! L’inaspettato piacere della raccolta differenziata delle emozioni, è questo che vorrei raccontare alle sorelle in quel salotto anni Trenta. Buttate quegli amori e quelle amiche e andate avanti. (Voi intanto provate a leggere Dorothy Whipple: “Greenbanks”, Persephone Books; e “Le sorelle Field”, pubblicato in italiano dalla piccola fantastica casa editrice Astoria: consiglio!)