“Certo, quando ci incontreremo
le foreste dei nostri giorni rinnoveranno le foglie”.
(Adonis)
Ci aspetta ancora la nostra stagione.
Adonis è nato in Siria nel 1930, ed è considerato forse il più grande poeta vivente di lingua araba. È il suo pseudonimo: nasce in realtà come Ali Ahmad Said Esber, primo di sei figli, in una famiglia di contadini. Non andò a scuola, ma il padre gli insegnò a leggere, gli passò l’amore per la poesia, mentre lavoravano insieme nei campi. A 14 anni recitò dei versi che aveva composto al presidente della Siria in visita al villaggio vicino, e questi gli chiese cosa desiderava: studiare, rispose. Così, il presidente lo aiutò a studiare a Damasco. Fuggì a Beirut nel 1956, dopo essere stato un anno in prigione per attivismo politico, e ora vive a Parigi. Vite migranti… I versi di oggi sono tratti da “Cento poesie d’amore”, Guanda.
E ieri un’amica giornalista, Gabriella Grasso, mi ha mandato l’ultima domanda di un’intervista che gli fece: “Abbiamo parlato tanto di politica, ma abbiamo dimenticato la poesia. Lei scrive che il poeta è quanto di più lontano ci sia dal potere. Ma cosa può fare la poesia per l’umanità?'” Così risponde Adonis:
«La cultura imperante è fondata sulle risposte: la religione ha le sue, la scienza ha le sue. Ma la forza dell’essere umano non è quella di dare risposte, bensì di porre domande: sul mondo, su se stesso. Ed è ciò che fa la poesia. La poesia resta sempre dalla parte dell’uomo, dell’umano, cioè dalla parte delle domande. Nemmeno l’amore è una risposta, anzi è un interrogarsi continuo, perché due persone che si amano non fanno che porsi domande, perché l’amore non è mai totalmente perfetto, è sempre da ricreare. Ed è questo che fa la poesia: ricrea continuamente il mondo. Come l’amore».
Intanto, non è bello pensare che, quando finalmente rivedremo chi amiamo, metteremo foglie?