“Attraversammo il giardino, reso metallico dall’inverno”.
(Rebecca West)
La vita, scoprire nel verde più fragile riflessi d’acciaio.
È una piccola frase, ma spero vi faccia venire voglia di leggere Rebecca West, che ho scoperto per caso, in questo grigio, complicato autunno. È tratta da “La famiglia Aubrey”, pubblicato da Fazi, primo libro di una trilogia che, stranamente, non avevo mai letto. Strano perché lei ha tutte le caratteristiche che mi piacciono: scrittrice inglese, inizio Novecento, spiritosa, anticonformista, vita avventurosa. E, guarda caso, quasi rivale in amore di un’altra scrittrice del cuore, Elizabeth von Arnim (amarono lo stesso uomo, H.G.Wells).
Perché leggere Rebecca West, e soprattutto, perché leggere la trilogia Aubrey? Perché in questo momento un libro-saga è un’astronave, che porta direttamente in un altro pianeta, dove spero di rimanere finché la pandemia sarà, più o meno, finita. E la saga delle sorelle Aubrey è la storia (quasi vera, ispirata dalla sua famiglia) di una famiglia resiliente, felice nonostante i debiti, i traslochi, le disavventure; una famiglia dove si impara che la fantasia, la musica, la pittura, la bellezza insomma, è quello che conta.
Aggiungo un altro libro-saga, “L’ottava vita”, di Nino Haratischwili (Marsilio), storia di un secolo attraverso le donne di una famiglia di Tbilisi. C’è di tutto: Tbilisi esotica e misteriosa, una città dove sono stata qualche anno fa; l’Armata Rossa, l’assedio di Leningrado, una cioccolata che è una pozione, tradimenti e amori, fughe… E soprattutto 800 pagine che vi possono accompagnare nel letargo di quest’anno.
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Ecco anche la recensione del primo libro che ho letto di Rebecca. L’ho scritta per Il Piccolo di Trieste.
Non sarebbe meraviglioso avere un super-potere che ci permetta di leggere i pensieri della persona che amiamo? Anche quelli più cupi e inconfessati? Per vedere che effetto fa, basta leggere un romanzo del 1929, scritto da un’autrice cult, Rebecca West: “Quel prodigio di Harriet Hume” (traduzione di Francesca Frigerio, Fazi Editore, 262 pagine). Chi ha amato la saga della famiglia Aubrey, sempre tradotta da Fazi, si deve preparare, però, a qualcosa di completamente diverso. Questo è un libro-divertissement: “A London Fantasy”, come dice il sottotitolo dell’originale. E anche una piccola vendetta contro i maschi pomposi, egocentrici, concentrati solo su di sé. La protagonista è Harriet, ragazza evanescente che vive a Kensington, bella ed eccentrica pianista. Lui è Arnold Condorex, che la guarda così: “di tutte le donne che aveva conosciuto lei era la più eterea: amarla era come avvolgersi in una sciarpa di puro spirito”. Una favola romantica? Non proprio. Arnold, con quel cognome che fa tanto venire in mente un analgesico, è un arrampicatore sociale senza scrupoli. Il romanzo si apre nel languore di un pomeriggio d’amore, ma Condorex non pensa ad altro che alle sue prossime mosse, agli imbrogli e ai sotterfugi che ha in mente per la sua carriera politica, alla donna ricca ma noiosa che gli toccherà sposare, per essere sicuro di entrare nel bel mondo che brama… Così, esce dalla porta del giardino, pensando di lasciarsi dietro Harriet per sempre. E invece no. Perché il destino gliela farà incontrare ancora, inaspettatamente, negli incroci della sua vita, in una Londra di palazzi, club e giardini aristocratici. E ogni volta Harriet farà qualcosa che lo spaventa e lo affascina allo stesso tempo: gli legge nel pensiero. Anzi, lo passa ai raggi X, come una radiografia, mettendolo di fronte ai suoi inganni, ai suoi segreti. Forse, quando lui la va a cercare con una pistola in mano per eliminare lei (che è anche la sua coscienza), ci sarà un lieto fine… Ma forse il lieto fine è semplicemente Harriet, questa donna vestita sempre di colori chiari, che vive da sola, segue la sua passione e la sua musica. E ha altri uomini, certo, non sta seduta in salotto a bere tè ed aspettare Condorex. Sospettiamo che dentro Harriet ci sia molto di Rebecca West. Che nasce in realtà come Cicily Isabel Farfield, da una madre pianista e un padre giornalista e inaffidabile (ed è la sua infanzia che, rielaborata, diventa la materia della saga della famiglia Aubrey, che in Italia ha incantato anche Baricco). Si trasferisce a Londra, diventa un’attrice, si cambia il nome in Rebecca West in omaggio all’eroina di un dramma di Ibsen, lotta insieme alle suffragette… E incontra H.G. Wells, il fascinoso scrittore sciupafemmine, 26 anni più di lei, con il quale avrà un figlio (illegittimo), e un’amicizia lunga una vita. Una relazione scandalo che avrebbe polverizzato molte donne, all’epoca. Ma Rebecca, come Harriet, non si scoraggia, ha un’incrollabile fiducia in se stessa, e tutto sommato anche negli uomini. Nel 1930, poco dopo aver scritto Harriet Hume, sposa un ricco banchiere, che le porta in dote una Rolls Royce, una casa avita in campagna e un confortevole benessere. Oltre alla possibilità di viaggiare: nel 1937 andrà nell’allora Yugoslavia, e la racconterà in un’incredibile testimonianza di viaggio, “Black Lamb and Grey Falcon”, mai ancora tradotta in italiano.
Rebecca West ha saputo vivere con la stessa leggerezza e sfrontatezza di Harriet, “consapevole del fatto che una donna per essere elegante deve camminare con i tacchi alti oppure senza tacchi del tutto”. Una femminista che è stata anche un concentrato di femminilità. Del resto, come scrisse nel 1913, “non sono mai riuscita a capire che cosa significhi con precisione femminismo. So soltanto che mi definiscono femminista tutte le volte che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino o da una prostituta”. E in questo è così vicina a noi e alle ragazze del nostro tempo. Superpoteri compresi.