“Quell’uomo mi ha offerto, una sera, un bellissimo momento di silenzio. Non lo dimenticherò tanto presto. È uno dei miei ricordi migliori dell’anno. C’è chi serba il ricordo delle sue conversazioni, io rammento quel silenzio”.
(Nina Berberova)
Quieta felicità.
Avete anche voi degli incipit che vi sono rimasti impressi nella memoria? Io ne ho almeno due. Il primo è di un romanzone indiano di cui aspetto da anni, dal 1993 per l’esattezza, il promesso sequel: “You too will marry a boy I choose” (“A suitable boy”, Vikram Seth, in italiano tradotto da TEA: consiglio per il lockdown anche perché sono 1600 pagine!, storia di una ragazza, Lata, nell’India degli anni Cinquanta, e della madre che vuole assolutamente che sposi il “ragazzo giusto”).
Il secondo incipit è di un piccolo libro rosa, anzi cenere di rosa, Adelphi. Un libro che ho amato, riletto, regalato, rimanendoci male quando non è piaciuto. Ve lo ricopio tutto, è proprio l’inizio:
“Nella vita di ognuno esistono momenti – quando la porta sbattuta all’improvviso e senza alcun visibile motivo di colpo si riapre, quando lo spioncino chiuso un attimo fa viene di nuovo aperto, quando un brusco «no» che sembrava irrevocabile si muta in «forse» – momenti in cui il mondo intorno a noi si trasfigura, e noi stessi ci riempiamo di speranza come di nuovo sangue. È stata concessa una proroga a qualcosa di ineluttabile, definitivo; il verdetto del giudice, del dottore, del console, è stato rinviato. Una voce ci avverte che non tutto è perduto. E con gambe tremanti e lacrime di gratitudine passiamo nel locale adiacente, dove ci pregano di «aspettare un poco» prima di spingerci nel baratro”.
Il libro è “ll giunco mormorante”, di Nina Berberova, donna del Novecento che ha vissuto tante vite, a cui ho sfilato anche questo Buongiorno, tratto invece da “Il Capo delle Tempeste”, Guanda. Che donna, Nina. Nata nel 1901 a San Pietroburgo, lascia la Russia dopo la Rivoluzione, nel 1922: prima “emigrée” a Parigi, poi nel 1950 si trasferisce negli Stati Uniti, dove insegnerà a Princeton. Rileggo ancora una volta, dalle sue memorie, questa frase, che mi sembra ci possa traghettare in questi mesi, come li ha chiamati uno storico, di allucinazione collettiva: “Mi trovo al centro di mille possibilità, di mille responsabilità e di mille incertezze. E se devo essere sincera fino in fondo: gli orrori e le sciagure del mio secolo mi hanno aiutata: la rivoluzione mi ha liberata, l’esilio mi ha temprata, la guerra mi ha spinto in un’altra dimensione”. Dove ci spingerà la pandemia? Dopo il Capo delle Tempeste, verso una quieta felicità?