“Il mondo vero, magnifico, orribile, atroce e divino. Accettarlo, amarlo così com’è mi sembra la gloria degli umani. Sarebbe troppo semplice amare un mondo buono”.
(Banine)
La vita mi chiede di imparare di nuovo a vivere.
Piccolo libro appena uscito (insomma, appena: uscito qualche mese fa, prima che il mondo entrasse in una bolla), “I miei giorni nel Caucaso”, pubblicato da Neri Pozza, è un piccolo gioiello. L’autrice? Banine. Ovvero Umm-El-Banine Assadoulaeff, nata nel 1905 in Azerbaigian, a Baku: ai confini del mondo. O almeno ai confini del mio mondo: sono dovuta andare a vedere su una mappa dov’è Baku (e dire che ci sono andata abbastanza vicino, quando, qualche anno fa, sono stata nell’incredibile Tbilisi, in Georgia).
Ma torniamo a Banine. Copio la buffa presentazione della casa editrice: ” Nascere in una famiglia scandalosamente ricca – il capostipite, Assadullah, nato contadino, morì milionario grazie al petrolio zampillato dal suo campo pieno di sassi – ma allo stesso tempo altrettanto stravagante e popolata da loschi individui, porta con sé sicuri privilegi e indubbi grattacapi. Ultima di quattro sorelle, Banine viene alla luce in un giorno d’inverno movimentato da scioperi, pogrom e altre manifestazioni del genio umano. Nonostante questo, la sua infanzia trascorre felice, allietata dalle torte rigonfie di crema di Fräulein Anna, balia tedesca, e dalle perenni recriminazioni in azero della nonna paterna… “.
E poi? Poi arriva la Rivoluzione d’Ottobre, la famiglia perde tutto o quasi, il padre finisce in prigione, forse l’unico modo per ottenere un passaporto e andarsene è sposare, a quindici anni, l’uomo giusto (ovvero: quello sbagliato)… Non vi voglio raccontare troppo, ma nel 1923 Banine sale finalmente sul treno che la porterà – era l’Orient Express – a Parigi. Lì vivrà, e scriverà “Jours caucasiens”. Scritto con leggerezza, brio, umorismo, da una donna che è stata quasi travolta dalla Storia, ma ha vissuto con gratitudine e allegria. Da leggere, per imparare come si fa.