Più che primavera, è un erbario: ben pressati tra un decreto e l’altro.

“Io mi stanco ed invecchio, divento stanca come un fiore messo in un codice di diritto penale e, primo sintomo del fatto che invecchio davvero, è che non me ne preoccupo affatto”.
(Ariadna Efron)
Più che primavera, è un erbario: ben pressati tra un decreto e l’altro.

Un altro libro tirato fuori dagli scaffali. Stavolta è un piccolo libro azzurro di una piccola casa editrice specializzata in corrispondenze (proprio così: e ora chi pubblicherà i nostri whatsapp? Per fortuna finiranno tutti ingoiati dall’etere o in un telefonino rottamato). È “Le tue lettere hanno occhi, Lettere 1948-1957”, quelle tra Ariadna Efron e Boris Pasternak (Rosellina Archinto Editore). Lei, Ariadna, è la figlia di Marina Cvetaeva (il mio ultimo Buongiorno, quello del 2 aprile). Sono lettere scritte dal confine in Siberia: anni duri, per la Russia, anni di condanne immotivate. Ariadna comincia a scrivere a Pasternak, il grande poeta, anche per rintracciare e ritrovare i fili di una famiglia annientata: la madre, Marina Cvetaeva, che era amica di Pasternak, morta suicida qualche anno prima; il padre… Tra i ghiacci della Siberia e i lavori forzati, trova il tempo di scrivere e sognare. Lettere che “hanno occhi”. Così le scrive infatti Pasternak: “La tua lettera mi guarda come una donna viva, ha occhi, si può prenderla per mano”. Mi ha colpito, di Ariadna, quel suo sentirsi come un fiore messo a seccare tra le pagine di un libro: non un erbario, ma un codice civile, come il nostro che delimita la nostra vita in questi giorni. E un po’ mi ha fatto sorridere.

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