Mi piace andare alla Biennale per capire qualcosa in più su me e sul mondo. La Biennale di quest’anno, la 59esima – e il titolo, “Il latte dei sogni”, preso in prestito da Cecilia Alemani, la curatrice, da un libro di fiabe anni 50 di Leonora Carrington – mi ha insegnato qualcosa di più: lo sguardo surrealista, sul corpo, il corpo mio, il corpo delle donne.

È uno sguardo interiore, uno sguardo che ribalta il corpo perché parte dall’interno: l’utero (nei quadri della brasiliana Rosana Paulino), le ovaie, la pancia che può essere vaso e contenitore (e diventa forme astratte, come per Pinaree Sanpitak), gli occhi che guardano nella notte e attraverso i mondi, il mangiare le persone cattive per eliminarle (un quadro incredibile di Cecilia Vicuña). Il corpo come ferita e cicatrice: il racconto futurista di un’isterectomia, nel 1919, di Enif Robert.

Ma anche il corpo come danza aerospaziale. E il sentire attraverso il corpo, mettersi in contatto con l’universo, il dentro e il fuori: il quadro di Remedios Varo che è uno studio, in Messico, pieno di segni e di poteri (e infatti era un’amica di Leonora). E poi buffamente i cazzi sezionati e flosci di Raphaela Vogel e Andra Ursuta. Ma è il partire dal corpo femminile che mi ha colpito, sentirsi dire nuovo potenti e magiche. Non armi, non lance, non guerre, ma raccoglimento e creazione, vasi di pensieri e fiori. Dare vita, magari solo a noi stesse. E quindi, al mondo.

Poco prima della Biennale ho intervistato Cecilia Alemani, la curatrice, per Howtospendit/Sole24Ore. L’intervista segue uno schema preciso, divertente secondo me: ve ne stralcio alcune parti perché viene fuori bene un mondo. E anche un certo latte dei sogni.
I segni distintivi del mio stile
Mi piace molto indossare capi e gioielli con immagini di dettagli di corpi: labbra, occhi, orecchie… Un’estetica un po’ surrealista, perché no? Ad esempio Vivetta, con i suoi colletti fatti di due mani che si sfiorano. Se me lo potessi permettere, mi piacerebbe poter indossare i capi strepitosi di Schiaparelli di cui adoro tutto, soprattutto i gioielli. Ma in tempi Covid mi sono ridotta a jeans (la mia marca preferita è Frame, stile garçon), abbinati ad una Tshirt bianca, in genere COS.
La mia icona di stile
Juliette Binoche. Ho sempre questa immagine di lei elegantissima, sensuale, icona senza tempo. Forse me n’ero innamorata già dai tempi lontani di Blu, il film di Krzysztof Kiéslowski del 1993, anche quando si vestiva solo con un semplice maglione blu a collo alto e un paio di jeans.
La vista che mi ispira
Dall’alto del Duomo di Milano, dove lo sguardo si estende fino alle montagne innevate.
Un oggetto da cui non mi separerei mai
Il burrocacao Labello Med. Non posso vivere senza!
Un piacere a cui non rinuncerei mai
Mangiare la farinata e la focaccia con le olive alle Focaccerie Genovesi in Via Plinio a Milano. Un piccolissimo negozio a cui sono molto legata perché è vicino a casa mia a Milano, e fa una farinata di ceci buonissima, e anche una focaccina sottile sottile con le olive deliziosa. Mi ricorda i tempi del liceo: io sono andata al Liceo Classico Carducci, vicino a piazzale Loreto; e quando tornavo a casa a pranzo passavo sempre a riempirmi di delizie prima di buttarmi nei libri.
L’artista (o designer) che collezionerei se potessi
L’artista americana Carol Bove crea sculture sia monumentali sia domestiche, che combinano l’aggressività di materiali industriali come l’acciaio e il ferro con la sensualità di superficie colorate dai colori zuccherini. Vorrei avere una sua scultura da mettere in giardino, ma visto che il giardino non ce l’ho, mi accontento di una per il mio tavolo!
Il miglior ricordo portato a casa da un viaggio di piacere (o lavoro)
Il blu vibrante delle jacarande a Buenos Aires. Nel 2018 ho curato un grande progetto di arte contemporanea nella capitale argentina; un progetto “diffuso”, in tanti luoghi diversi. E uno dei ricordi più vividi di questa città molto milanese è proprio l’intensità del colore della jacaranda, pianta straordinaria.
Nel mio frigo non manca mai
La birra Peroni. La birra artigianale mi fa orrore, mi sembra sempre di bere il profumo. Preferisco la birra dal gusto più semplice e italiano, e vivendo a New York mi sembra sempre di ritrovare un pezzetto di Italia.
Il capo che conservo da tramandare
La pelliccia di astrakan della mia nonna materna, Nina. Ricordo mia nonna soprattutto nella sua comoda sedia del suo appartamento di Milano, quand’era già in età avanzata. Ma l’immagine più vivida che ho di lei è di una fotografia in bianco e nero che tengo in camera mia: lei giovanissima, esce da una macchina, chic ed elegante, con questa stupenda pelliccia addosso. Qui in America ti insultano se indossi una pelliccia, quindi la riservo solo ai viaggi europei!
I miei siti e le app preferite
Ultimamente sono nati tanti podcast e siti dedicati alla storia di donne artiste, un po’ con l’intento di scrivere la loro storia visto la mancanza di letteratura su di loro; ma anche per raccontare, tramite testimonianze di artisti contemporanei, la vita e le vicissitudini di tante artiste del passato. Il podcast The Great Women Artists è molto interessante perché invita artisti e critici di oggi a rileggere l’opera di pittrici e scultrici del passato.
https://awarewomenartists.com/en/artistes_femmes/
https://www.thegreatwomenartists.com/
L’ultima cosa che ho comprato e amato
Un anello a forma di rana di Bernard Delettrez. Un’altra mia passione è visitare la sua boutique a Roma, in via Bocca di Leone. Tra rane, formiche, scarabei, ragni, mantidi religiose, labbra, scheletri che ti afferrano il polso, e altri frammenti anatomici, sembra di entrare in un quadro di Dalì! Mi piace molto anche perché tanti gioielli sono fatti di metalli non preziosi, come il bronzo, ma hanno sempre un dettaglio che li impreziosisce. Il mio anello con la rana per esempio è smaltato in modo così intenso che sembra quasi pulsare.
Un posto indimenticabile visitato di recente
São Paulo, con tutto il cemento che contraddistingue questa città. L’architetta italiana Lina Bo Bardi, che si era trasferita in Brasile dopo la seconda guerra mondiale, lì ha disegnato edifici incredibili, come il MASP, Museu de Arte de São Paulo, progettato alla fine degli anni Cinquanta, che si solleva delicatamente da terra sospeso da bretelle rosse. Indimenticabile!
La mia stanza preferita
Tutte le stanze del nostro piccolo appartamento di New York nell’East Village, tranne il mio studio microscopico di 2×3 metri dove sono stata rinchiusa per due anni di pandemia e dove ho lavorato all’intera Biennale di Venezia!
Il mio spazio verde preferito
La High Line a Manhattan! Confesso che lavoro lì, quindi sono di parte, ma penso sia uno degli spazi pubblici più innovativi creati negli ultimi anni. Quello che lo rende così speciale è il fatto di combinare tante esperienze e interessi diversi: ci sono i giardini disegnati da Piet Oudolf che sono la maggiore attrazione e che cambiano ogni mese con nuovi colori e fioriture. C’è poi l’architettura orizzontale concepita da James Corner Field Operation e Diller Scofidio + Renfro, un grande esempio di riutilizzo di una vecchia struttura industriale trasformata in un parco urbano. E infine l’esperienza dell’arte, che curo io, che sorprende i visitatori che per lo più non si aspettano di vedere sculture, installazioni e murales per tutta la sua lunghezza. Ce n’è per tutti i gusti!