Ho conosciuto Chantal Joffe anni fa: sono andata nel suo atelier in una zona di Londra che non conoscevo, di magazzini e acqua nei canali, e mi sono ritrovata lì, tra tele e olii e colori e il disordine quasi magico degli studi d’artista. Abbiamo, credo, bevuto un tè (cos’altro si può fare in Inghilterra? Io poi il tè lo adoro). Abbiamo parlato. Ero molto curiosa di lei; ma, stranamente, anche lei di me, e questo di solito nelle interviste non succede. Quando mi ha chiesto se avevo figli, e le ho risposto che purtroppo non è successo, e che da questo è nato il mio primo romanzo, “Confessioni di un’aspirante madre” (mi fa quasi impressione scrivere il titolo, è veramente una vita, varie vite fa, anche se la cicatrice c’è, la posso toccare con le dita), ricordo ancora lo sgomento sul suo viso. Mi ha detto: non so come avrei fatto, se non fossi diventata madre. Mi ha sfiorato leggera, una carezza di una sconosciuta, un abbraccio. Ho visto lacrime nei suoi occhi e ho pensato, per favore non piangere, o piango anch’io.

Già, cos’avrebbe fatto Chantal Joffe se non fosse diventata madre? Avrebbe continuato a dipingere e vivere, penso; così come io ho continuato a scrivere e vivere. L’atto della creazione, il raccontare e raccontarsi il mondo; un atto semplice, raccontare e raccontarsi, lo facciamo tutti, anche solo scrivendo a mano in un diario segreto o postando foto sul diario di Instagram. Ma mi è rimasto dentro, quest’incontro; i quadri a grandi pennellate, i visi di donne, i nudi senza imbarazzo, i corpi luminosi anche se sfatti. La vita.

E quindi mi ha fatto piacere, e mi ha molto incuriosito, ritrovare Chantal Joffe a Milano, in una mostra alla Galleria Monica De Cardenashttps://www.monicadecardenas.com, in una zona che conosco bene perché la mia ultima casa milanese era lì vicino – e quindi ancora, le nostre strade si sono sfiorate.

Dico incuriosito perché i ritratti in mostra sono tutti di scrittrici, di donne che vivono scrivendo: di alcune i libri sono ancora nei miei scaffali, come Nicole Krauss (“La storia dell’amore”, o “Essere un uomo”, Guanda) o Ottessa Moshfegh (“Il mio anno di riposo e oblìo”, Feltrinelli); altre le ho cordialmente detestate per tutto l’inutile dolore che c’è dentro, come Hanya Yanagihara.

Guardando i ritratti ho pensato: strano, non sono scrittrici alla scrivania – un’altra cosa che mi interessa molto, la “room of one’s own” che da Virginia Woolf le donne si sono conquistate, fosse solo un angolo del tavolo di cucina o il Macbook portato a letto, come capita spesso a me. Sono donne con abiti a righe, a piccoli fiori, T shirt bianche, marinière multicolor.

Sono gli abiti con cui scrivono? O gli abiti con cui si sentono di più a loro agio? E io, cosa sceglierei, con cosa mi piacerebbe venire ritratta? Perché i miei “abiti da casa” sono così diversi da quelli con cui esco: piccoli morbidi vestiti di cotone e leggings, niente disegni, niente fiori, colori basici. Forse per lasciare spazio ai colori del mondo che entrano poi – spero – nella mia scrittura.
In ogni caso brava Chantal, e grazie per questo sguardo di donna sulle donne. Se siete a Milano andate a vedere la mostra, è aperta fino al 21 maggio. Occhi di donne sul mondo.
Grazie Lisa per avermi fatto conoscere questa artista. Le donne che dipinge sono donne normali, mai particolarmente belle, donne vere. In fondo dietro a donne che “scrivono” ci sono persone reali e storie di vita vera un po’ come la tua!
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Bellissima questa mostra che proponi, cercherò di andarci sicuramente!. Sai che, invece, domenica scorsa ho visto lo spettacolo di Martone su Goliarda Sapienza a Parenti? Uno spettacolo bellissimo, scritto bene e recitato ancora meglio da una bravissima Donatella Finocchiaro. Se vi capito in giro andate a vederlo!
Goliarda Sapienza, con l’Arte della gioia, è stata un’altra delle mie scoperte in questi anni. Belli anche i taccuini. Peccato non poter vedere lo spettacolo, Carla, e grazie di averne scritto!