Io e i cartamodelli? Ebbene sì. Un viaggio nel tempo e nello spazio che è diventato un libro. Qui lo racconto nell’articolo che è uscito su Donna Moderna.
Non sapevo neppure bene cosa fossero i cartamodelli, a parte un vago ricordo di Burda. Non so cucire, nè attaccare un bottone. Quindi sono rimasta molto sorpresa quando Colomba Leddi, che ammiro anche perché porto i suoi stupendi soprabiti-petalo (così li chiamo io, anche se lei non è convinta), mi ha chiesto di scrivere insieme a lei un libro dedicato proprio ai cartamodelli. Ho tentato di tirarmi indietro, ma Colomba – che è Naba fashion design area leader a Milano e Roma, la Nuova Accademia di Belle Arti – è stata molto convincente. E poi mi attraeva l’idea di scoprire un continente nuovo… E così eccolo, il libro in cui abbiamo condensato due anni di vagabondaggi nei secoli e nel mondo: il nostro “Cartamodello” (Edizioni Quodlibet e Naba), è un viaggio dal bidimensionale al tridimensionale. Questo è il sottotitolo del libro e anche la mia prima scoperta, perché, mi ha ripetuto Colomba, se il tessuto è bidimensionale e il corpo tridimensionale, per coprirlo ci sono tante strade. Siamo partite dal kimono in Giappone, e abbiamo scoperto che è un “abito per tutta la vita”: forma a T, ricavato da un singolo rotolo di stoffa, viene adattato negli anni al corpo rimboccando o piegando il tessuto, drappeggiandolo in maniera diversa. Da lì siamo arrivate al “digital manufacturing”, i cartamodelli senza forbici del mondo virtuale, e le possibilità del 3D; ma anche incredibili sperimentazioni come i bachi da seta che in un laboratorio a Londra “disegnano” l’abito sul corpo. Passando per scoperte tutte italiane: non sapevo, ad esempio, che la madre del fondatore di Max Mara, Giulia Maramotti, avesse aperto alla fine degli anni ‘30 a Reggio Emilia una scuola di cucito e modellistica: hanno aperto l’archivio per farci vedere anche la sua “Guida alle lezioni di taglio”, dove studiava come le taglie possano adattarsi a più donne possibili. E Burda? Anche lì ho scoperto che dietro c’è la storia di una donna. In Germania, negli anni del dopoguerra, Aenne Burda, sposata a un ricco editore, scopre non solo che il marito aveva un’amante e una seconda famiglia, ma che alla donna segreta aveva lasciato fondare un giornale di moda. Aenne si prende la sua rivincita: dalla sua piccola città, Offenburg, lancia la “sua” rivista di moda, “Burda”, decidendo di inserire tra le pagine dei cartamodelli, su un unico foglio con diversi tratteggi, per risparmiare sulla carta. All’apice del successo, “Burda” esce in 90 Paesi in 16 lingue diverse, ed è la prima rivista occidentale ad essere pubblicata nell’allora Unione Sovietica.
E poi ci sono i cartamodelli d’artista e i “mappamodelli” sperimentali anni ‘70, parliamo di Issey Miyake e Antonio Marras (che ho avuto il piacere di intervistare nella sua Alghero, davanti a una tazza di té, mentre disegnava, a mano libera), ma anche di dressing e moulage… E c’è una performance con un “finto Prada”, dell’artista tedesco Olaf Nicolai, mio grande amico. Nella foto è a Berlino e mi mostra il cartamodello, che era stato distribuito gratis: una prova d’artista e una provocazione, “cuciti il tuo Prada”.
Alla fine del nostro libro-viaggio ci sono davvero 5 cartamodelli: la giacca cinese, quella holiday e quella boyfriend, i pantaloni coulisse e il caftano; ovvero 5 pezzi continuativi che Colomba ha in tutte le sue collezioni, e che in anni diversi hanno preso posto anche nel mio armadio. Dite che potrei provare a farmeli da sola?